Per sfamare il pianeta occorrono metodi meno ideologici per coltivare, produrre e distribuire il cibo.
Un fantasma si aggira per l’Europa, anzi per il mondo, il cibo ultraprocessato. È la causa di tutti i nostri mali. Rovina la salute e l’umore. Ricordo la gag molto carina di Walter Chiari sul sarchiapone, il cibo ultraprocessato la ricorda molto da vicino: ne parlano tutti, può essere molto pericoloso ma nessuno sa cosa sia. A cominciare dall’Economist che pubblica ben tre articoli contro i cibi ultraprocessati senza mai definire di cosa si tratta. Orbene, l’agricoltura, nella sua genesi organizzata rispetto alla natura selvaggia, fu già una prima forma di modifica industriale della natura. Dalla nascita dell’uomo agricolo in avanti, tantissime scoperte hanno permesso all’uomo di sopravvivere negli inverni in cui le orticole erano meno disponibili, cagliando il latte per farne formaggio (è un processo), sterilizzando in vasi di vetro i pomodori in luglio e agosto (è un processo identico a quello seguito da Mutti e Cirio, solo con pentole molto più grandi e con livelli di sicurezza alimentare che in casa non avevano). E nello stesso modo si conserva la frutta facendone delle marmellate, si conserva il merluzzo essiccandolo e rispugnandolo e chiamandolo baccalà (processato due volte), si sterilizza il tonno e la carne lessa per alimentare i fanti in trincea, e, per lo stesso motivo, il riso diventa precotto da scaldare per i soldati americani durante la Seconda guerra mondiale. In anni più recenti, gli esperti di tecnologia alimentare e soprattutto i microbiologi danno un ruolo importante alla surgelazione (o al più nobile abbattimento). In fondo, se le fibre surgelate non contengono troppa acqua, questo processo rende il prodotto più fresco, una volta scongelato, di quello fresco conservato male o troppo a lungo. Ma non solo: abbattere gli alimenti uccide batteri anche termoresistenti. Quindi la surgelazione è una tecnica di conservazione degli alimenti che non ha bisogno di alcun conservante: basta il freddo. Anche per la pizza surgelata basta il freddo. E allora? Certo alcune carni vendute refrigerate, come la bresaola Valtellina IGP di autentico Zebù brasiliano, se non addirittura del Nebraska, oppure come il Parma o il San Daniele, hanno bisogno di un po' di nitriti e nitrati per resistere soprattutto se preaffettati. Anche il salame come fa a conservarsi bello e rosso? Soltanto lo strettissimo disciplinare del Varzi che è talmente stretto che non lo imita nessuno (e sarà anche per quello che nessuno lo conosce), non ammette l’uso delle sostanze chimiche. Ma tutta questa cagnara planetaria soltanto per quel po' di salame (detto pepperoni) che va sulla pizza? E serviva demonizzare l’intera industria alimentare? Ricordiamo che l’industria alimentare italiana ha processi produttivi di elevata qualità che garantiscono la sicurezza assoluta degli alimenti venduti. Se accadessero anomalie in questi processi ci sono provvedimenti penali per i trasgressori. Aggiungere agli alimenti additivi non dichiarati in etichetta è una truffa aggravata non conciliabile (significa che il responsabile va in prigione, punto). Non è così per il prodotto mal conservato nella piccola azienda locale caratteristica, quella con pochi dipendenti che anche se fa qualche innocente marachella è comunque una marachella nostrana. Quale è la pena per il piccolo mugnaio che scrive prodotto italiano su una farina importata? Ma cosa vuoi che sia? È piccolo, da lavoro, è uno di noi. Che se invece fosse una multinazionale nessun sistema di controllo, nessun revisore, nessun giudice sarebbe clemente. Ma allora che racconto stiamo vivendo? Se dobbiamo sfamare, bene dal punto di vista nutrizionale, nove miliardi di abitanti del pianeta dovremo dotarci di metodi meno ideologici per coltivare, produrre e distribuire il cibo. Dobbiamo valorizzare l’industria capace e solida (a prescindere, anzi premiando chi è internazionalizzato). Dovremmo dare dignità alle produzioni biologiche nelle quali l’Italia ha un vantaggio competitivo, dovremmo promuovere una agricoltura da filiera sostenibile, dovremmo incentivare l’agricoltura rigenerativa e valorizzare il non utilizzo di materie prime geneticamente modificate come uno dei nostri vantagi competitivi. Dobbiamo allineare il racconto sul cibo alla realtà e non piegarlo a logiche che paiono piuttosto scandalistiche su scala mondiale che realmente interessate a sfamare il pianeta. Un discorso a parte merita la carne: tantissima attenzione alle tecniche (soprattutto a quelle truffaldine direi) alla produzione di carne, e pochissima attenzione per la crescente domanda globale di proteine. Tutti I paesi che escono dalla soglia di povertà sognano una alimentazione occidentale, o quanto meno con un contenuto di proteine “tipo” quello occidentale. Come possiamo fare a dargli qualcosa che li renda soddisfatti (soprattutto “fit” come viene percepito chi si nutre di proteine nel mondo) senza distruggere il pianeta inondandolo di allevamenti intensivi per produrre bistecche? Dovremmo, immagino, promuovere proteine diverse. Proteine vegetali poco processate, in grado di fornire tutti I nutrienti della carne senza I danni ambientali del bovino. Perchè questo accada andrebbero promossi stili di consumo e cucine in grado di valorizzare questi utilizzi. Cucine etniche, piatti della tradizione italiana che valorizzino l’utilizzo di vegetali proteici. È necessario che noi tutti, con il regolatore in testa, si cominci a darci carico di come sfamare il pianeta in modo sostenibile.