Grandi aziende: c’è ancora spazio per l’imprenditorialità?

Oppure un sistema basato su processi e bonus sta rendendo le aziende prevedibili, poco innovative e fragili?


Anni di domanda in crescita costante uniti ad una logica che ha premiato la capacità di generazione di utili crescenti, potrebbero aver indebolito le aziende alla radice. I grandi gruppi risultano essere poco propensi a rischiare e a sperimentare, correndo il rischio di diventare poco reattivi e poco flessibili ai cambiamenti esogeni. Per troppo tempo ci si è focalizzati su processi ed efficienza invece che sulla creazione del valore di lungo periodo, privilegiando quindi un approccio di breve termine, al grido di “Del doman non v’è certezza” unito all’altro dogma “Abbiamo sempre fatto così”.  Sembra quasi che i gruppi manageriali di riferimento del mondo industriale siano diventati maestri nell’arte della politica interna, nella protezione della posizione propria e del gruppo dei propri fedelissimi.


E allora non hanno visto arrivare la crisi della domanda: dapprima il caso delle bici, poi quello delle moto e infine il mondo delle auto. Per non parlare della moda. In molti casi è stato adottato – e risulta essere ancora in vigore - un modello di business che prevede la produzione in eccesso, per ottenere economie di scala e risparmiare a livello di costi, ma che fa esplodere i volumi e il magazzino. L’allineamento tra domanda e offerta è sempre una grande incognita per tutti i comparti; tuttavia, le aziende oltre che adottare un modello di business come quello descritto sopra, spesso hanno impostato la previsione della domanda sulla base dei trend passati, oppure sovrastimato il valore atteso del mercato senza valutare il reale contesto tecnologico e infrastrutturale.


Viene quindi da chiedersi: possibile che le linee manageriali non abbiano visto i segnali anticipatori? Di fatto, sono stati reiterati i modelli di anni precedenti invece che esplorare la possibilità di adottare business models in grado di rispondere alle esigenze emergenti dei diversi gruppi di clienti. Se anche la lettura critica del contesto si fosse realizzata, non è poi avvenuto un cambiamento concreto. Quindi, qual è la spinta del cambiamento? Ma soprattutto, in che ambiti si vuole cambiare, che cosa si sta ricercando?
Il mondo delle risorse umane è “nudo” di fronte alle trasformazioni che appaiono indispensabili nei modelli organizzativi, come la creazione di strutture orientate al lavoro di squadra, con una trasversalità che snellisce i sistemi piramidali e con meccanismi che premino l’innovatività ed il rischio anche in caso di insuccesso. In altre parole, lo sviluppo di un atteggiamento di imprenditorialità generalizzata e diffusa tra le funzioni a prescindere dal livello di inquadramento delle risorse. L’eccessivo attaccamento ai processi cristallizza l’innovazione e diventa un alibi per non assumersi il rischio di cambiare.


Le aziende che hanno più chances di riuscire a fronteggiare un contesto dominato dall’incertezza e in continua trasformazione sono quelle che sono in grado di farsi portavoce di questo concetto di imprenditorialità diffusa, dove ogni membro collabora al funzionamento del sistema. Il concetto di collaborazione deve essere inteso in una modalità tale che implica ragionare sul successo dell’azienda oltre che sulla propria carriera, con una tensione a guidare a livello micro lo sviluppo competitivo dell’azienda. La sfida professionale è aperta!

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