Con l’Intelligenza Artificiale, le aziende sono chiamate a rivedere i propri modelli organizzativi.
Il successo della transizione dipende però dalla capacità di valorizzare l'intelligenza umana.
Giuseppe Torre, Docente di Intelligenza Artificiale, etica e governance presso la Pontificia Università Antonianum
Da quasi un decennio, le Intelligenza Artificiali (AI) hanno pervaso in modo discreto le nostre vite, soprattutto per i progressi conseguiti dalle scienze dei dati, dagli algoritmi di Deep learning e dalla capacità di calcolo dei supercomputer. Giornalmente utilizziamo, spesso senza accorgercene, algoritmi di raccomandazione sui social media, filtri antispam, assistenti virtuali, sistemi di navigazione, filtri fotografici e sistemi di generazione automatica di contenuti. Tutti servizi basati su un’imponente e continuativa attività di raccolta dei dati.
Ma la vera rivoluzione è iniziata il 15 marzo 2016, quando AlphaGo, un software per il gioco da tavolo Go sviluppato da Google DeepMind, ha battuto uno dei migliori giocatori al mondo; la ‘mossa 37’ potrebbe aver segnato l’inizio di una nuova era non solo tecnologica, ma sociale ed economica.
Un’altra tappa fondamentale di questo nuovo corso dell’umanità ha avuto inizio il 30 novembre 2022, quando Sam Altman (CEO di OpenAI) ha postato sull’allora Twitter: “Today we launched ChatGpt. Try talking with it here: chat.openai.com”. Pochi giorni dopo, il 5 dicembre, Altman annuncia di aver superato il milione di utenti; oggi ChatGpt è utilizzato mensilmente da 3,5 miliardi di persone, con un aumento del 116% in un anno (Carr, 2024), in 152 Paesi, a cui si aggiungono Perplexity (90 milioni di visite), Claude (84 milioni di visite) e Gemini (292 milioni di visite), tutti in crescita a tripla cifra. È il più imponente e rapido fenomeno di massa della storia ed è l’inizio di una nuova era, nella quale l’interazione uomo-macchina diventa sempre più pervasiva e quotidiana.
Anche se il rumore assordante prodotto dell’hype sovrasta una riflessione pacata e accurata sulle implicazioni di queste tecnologie per l’umanità, è sempre più diffusa l’idea che la comparsa delle AI di ultima generazione possa produrre effetti paragonabili all’incontro tra la nostra civiltà e una civiltà extraterrestre. Questi sistemi, infatti, sono significativamente distanti dall’intelligenza umana, perché pur agendo, in molti ambiti, in modo indistinguibile da noi, basano il loro funzionamento su una combinazione di algoritmi probabilistici, quantità enormi di dati e schede di silicio, combinazioni che per stessa ammissione degli inventori di questi sistemi non abbiamo ancora ben compreso.
Siamo ancora piuttosto confusi e disorientati da questo rapido dispiegarsi di innovazioni dirompenti e all’orizzonte già si intravedono sistemi con capacità che travalicano anche la fantascienza più estrema. Senza dover attendere i sistemi di Artificial General Intelligence (Agi), la nostra analisi del panorama tecnologico mostra che i modelli denominati “AI agentici” rappresentano già una realtà e sono caratterizzati dalla capacità di operare con minima supervisione umana e di auto-migliorarsi costantemente attraverso l’apprendimento.
Questi sistemi si stanno evolvendo in forme ancora più sofisticate: la prima sfrutta la cosiddetta “intelligenza a sciame”, che consente agli agenti AI di operare in modo coordinato e collettivo per raggiungere obiettivi comuni (Strobel, Pacheco e Dorigo, 2023); la seconda si basa sulla “Intelligenza Artificiale Fisica Generativa”, che consente a sistemi robotici di addestrarsi sull’esperienza nel mondo reale.
Gli sciami di agenti intelligenti hanno la capacità di adattarsi in modo dinamico all’ambiente esterno e, al contempo, manifestano un’elevata resilienza intrinseca. Tali caratteristiche, combinate con algoritmi di ultima generazione (per esempio, la retropropagazione dell’errore), pongono questi sistemi al confine tra scienza e tecnologia e aprono la strada a potenzialità ancora inesplorate in ambiti cruciali, come la climatologia, la medicina, la sicurezza e la robotica, e nelle scienze aziendali e del management.
L’Intelligenza Artificiale Fisica Generativa consentirà ai robot di eseguire anche compiti per i quali non sono stati progettati e, proprio come accade oggi, con i modelli linguistici con testi, immagini e suoni, l’addestramento dell’intelligenza dei robot sarà basato sull’esperienza fisica che queste macchine realizzeranno nella realtà quotidiana produttiva o domestica.

L’AI, da strumenti tecnologici a co-costruttrice della realtà sociale
Una progressione così rapida di innovazioni dirompenti ci costringe a ripensare totalmente non solo le competenze dei leader aziendali e di gran parte della forza lavoro, ma ci obbliga anche a immaginare nuovi modelli di business e nuovi paradigmi organizzativi di comunità radicalmente diverse da quelle che siamo abituati a creare e gestire. Infatti, questi nuovi modelli dovranno contemplare la presenza, in azienda, di macchine che utilizzano non solo un’intelligenza significativamente diversa da quella umana, ma addirittura basata sul concetto di intelligenza a sciame (Dorigo e Stützle, 2004) e di Intelligenza Artificiale Fisica Generativa.
Anche se è troppo presto per avere un quadro preciso di ciò che accadrà, alcune prime indicazioni provenienti dall’analisi di imprese che utilizzano in modo evoluto sistemi di AI ci inducono a pensare che queste organizzazioni tendono a basarsi sempre più sulle competenze e non sulle qualifiche e sono alla ricerca di nuove configurazioni organizzative, sia per sfruttare al massimo le potenzialità dell’intelligenza collettiva sia per gestire meglio l’equilibrio tra efficienza e resilienza.
D’altra parte, il concetto di efficienza è stato sviluppato in un contesto competitivo e tecnologico piuttosto stabile e ben si adatta a processi standardizzati, mentre quello di resilienza si sviluppa in contesti caratterizzati da instabilità, complessità, ambiguità, rapidità dei cambiamenti, che richiedono creatività e tanta conoscenza.
Le organizzazioni basate sulla creatività, l’innovazione e le competenze sembrerebbero orientarsi verso orizzonti temporali piuttosto lunghi e verso asset che rispecchiano la logica lean, quali, per esempio: la robustezza, per assorbire crisi, shock e interferenze dall’esterno; la ridondanza, per garantire la continuità anche quando una o più componenti fossero rese inutilizzabili; la diversità, per affrontare sfide complesse con una diversità di elementi (come competenze, strumenti, generi, ecc.) sensibilità e conoscenze; flessibilità e agilità, per rispondere rapidamente ai cambiamenti; l’approccio integrato alla qualità in ogni fase del processo produttivo.
Decisivo in queste organizzazioni sembra essere l’approccio collaborativo: si valorizzano i dipendenti e li si considera parte integrante del processo decisionale, creativo e di miglioramento. D’altra parte, l’umanità è progredita proprio grazie a comunità/organizzazioni basate sull’intelligenza collettiva (tribù, città-stato, imperi, stati nazionali, corporazioni, ecc.).
Oggi, l’unione tra intelligenza umana, internet e AI potrebbe dare vita a nuove forme di intelligenza collettiva, più grandi e sofisticate di qualsiasi altra mai esistita, ma questi nuovi sistemi organizzativi ci costringeranno ad affrontare quesiti etici del tutto inediti rispetto ai quali siamo ancora ampiamente impreparati. Per esempio, la capacità dei modelli AI di produrre contenuti ‘originali’ (o anche semplicemente ‘ricombinazioni’ di contenuti creativi umani) potrebbe mettere questi sistemi nella condizione di compartecipare, insieme a noi, alla costruzione dell’infrastruttura organizzativa e di plasmare la cultura aziendale, ossia il ‘software’ che fa funzionare un’impresa.
Il tema della co-evoluzione della cultura aziendale è forse il tema più intrigante e controverso perché solleva questioni come: chi controlla questa co-evoluzione? Come garantire che questa influenza sia benefica? Come preservare l’agency umana in questo processo?In conclusione, la riflessione odierna sulle AI dovrebbe cogliere un punto centrale: non stiamo affatto creando semplici strumenti tecnologici, ma potenziali co-attori nella costruzione della realtà sociale, economica e competitiva. Questo richiede una riflessione non solo tecnica, ma soprattutto filosofica, etica e antropologica su come gestire questa co-evoluzione, preservando i valori e l’agency umana, ossia la capacità di agire attivamente e trasformativamente nel contesto in cui si è inseriti.
L’insieme delle competenze è una struttura complessa
Tornando al tema delle competenze, il perché sia opportuno ripensare le competenze di larga parte della leadership pubblica e privata, della forza lavoro e degli educatori e formatori sta nelle peculiarità degli odierni sistemi di AI. Essi sono infatti sistemi conversazionali, con i quali cioè è possibile interagire, utilizzando il linguaggio naturale, suoni, immagini e video, e che rendono possibile creare applicazioni low code o addirittura no code (Lcnc). Possono inoltre fornire interi servizi come soluzioni software (Service as a software) sfruttando le capacità di automazione e apprendimento automatico dei sistemi di AI Generativa (AI Gen). Sono alla portata di larga parte dell’umanità, che li userà sempre più per ottimizzare delle scelte di acquisto, consumo, produzione, educazione e formazione professionale, ecc. Hanno di fatto abbattuto le barriere linguistiche, grazie alle straordinarie capacità di traduzione in centinaia di lingue diverse. Possono risolvere problemi per i quali l’algoritmo non è stato creato appositamente, distinguendosi in questo dalla totalità delle macchine fino a oggi conosciute, e hanno una capienza di apprendimento di gran lunga superiore a quella umana, che può ulteriormente espandersi grazie ai comportamenti a sciame. Non si limitano ad automatizzare i processi, ma hanno la capacità di trasformarli radicalmente, concorrono alle decisioni manageriali e contribuiscono ai processi creativi per migliorare l’esistente e abilitare la creazione di prodotti e servizi completamente nuovi. Infine, a breve saranno in grado di assumere la forma di sciami intelligenti.
In campo imprenditoriale è chiaro che questi sistemi non siano più un semplice supporto alla produzione, ma che stiano progressivamente acquisendo il rango di ‘fattore della produzione’, che concorre insieme alle persone, al capitale e alla Terra a creare le fondamenta sulle quali si poggia l’impresa.
Un numero crescente di segnali (Osservatorio 4Manager) indica che questo nuovo fattore di produzione abbia anche il potere di plasmare le organizzazioni e necessiti di competenze manageriali basate su nuovi paradigmi e non solo su uno skill mix diverso da quello dell’era pre-AI.
Soprattutto, l’AI ci invita a guardare all’insieme delle competenze prestate da imprenditori, manager e lavoratori all’impresa e a specifici ruoli lavorativi, progetti e persino a percorsi di sviluppo professionale (ontologia delle competenze), come a una struttura complessa, composta sia da singole competenze sia dalle relazioni che intercorrono tra di esse.
Guardare all’organizzazione come a una rete di competenze interconnesse, e non come a un insieme di qualifiche più o meno organizzate, costituisce un vero e proprio cambio di paradigma che potrebbe consentire alle organizzazioni di svolgere compiti anche in campi nei quali esse non eccellono, per esempio, nel campo della sostenibilità, dell’Economia circolare, delle tecnologie digitali, della proiezione di prodotti e servizi su mercati sconosciuti, ecc.Il perché questo potrebbe accadere dipende da una particolare qualità che le AI Gen sembrano possedere: migliorano la capacità delle persone (manager, lavoratori, policy maker, ecc.) di svolgere compiti nei quali le competenze sono limitate. Si pensi, per esempio, alla conoscenza delle lingue. Ciò potrebbe permettere anche a organizzazioni più piccole e meno strutturate di accrescere efficacia e resilienza grazie a una forza lavoro con competenze ‘aumentate’ dalle AI.
L’AI richiede competenze tradizionali e specialistiche per i profili manageriali
Queste considerazioni non devono farci cadere nella trappola di quello che Papa Francesco definisce il paradigma tecnocratico. Come afferma nella Laudate Deum, l’aumento del potere umano, anche per effetto della tecnologia, non sempre rappresenta un progresso per l’umanità, come dimostrano le tecnologie impiegate in passato per scopi distruttivi, tra cui l’uso di bombe atomiche e il genocidio di interi popoli. Ci sono stati momenti in cui l’euforia per il progresso ha oscurato l’orrore delle sue conseguenze, e questo rischio permane, poiché lo sviluppo tecnologico non è stato accompagnato da una maturazione equivalente dell’etica e della coscienza umana.
Il manager moderno dovrebbe pertanto sviluppare una triplice competenza: tecnica, umana ed etica. Sul piano tecnico, deve comprendere le potenzialità e i limiti dell’AI. Sul piano umano, deve saper guidare il cambiamento organizzativo e gestire team ibridi uomo-macchina. Sul piano etico, deve garantire un utilizzo responsabile e sostenibile della tecnologia.
Questi temi sono stati analizzati mediante l’identificazione delle conoscenze e delle competenze associate (skill intelligence) secondo la classificazione europea multilingue di abilità, competenze e occupazioni (Esco), consentendo così di individuare i saperi che accompagnano le diverse figure manageriali.
Partiamo con il dire che l’AI richiede profili manageriali dotati di un mix di competenze tradizionali e specialistiche utili a comprendere i suoi sistemi, gestire progetti complessi, padroneggiare la Data science e possedere forti competenze di business e leadership. Sono essenziali anche l’etica, la gestione del rischio, l’apprendimento continuo e il pensiero critico.
Con l’aumentare della dimensione aziendale, diventa strategico il ruolo del manager, inteso come responsabile del processo o di parti del processo di sviluppo dell’AI. In sostanza, una figura manageriale incaricata di gestire parte del o tutto il programma di sviluppo dell’AI in azienda dovrebbe coniugare competenze manageriali ‘classiche’ con un alto livello di specializzazione o conoscenze nel campo dell’AI. Questo portafoglio di saperi estremamente complesso è scarsamente diffuso e disponibile sul mercato italiano.
Entrando nel dettaglio, i profili manageriali che abbiamo individuato possono essere suddivisi come segue.
Alta vocazione allo sviluppo dell’AI. Dirigenti e direttori dei servizi informatici e manager generali nelle aziende di informatica e telecomunicazione. Questi profili concentrano oltre il 55% delle competenze digitali classificate da Esco e le competenze digitali rappresentano poco meno del 60% delle competenze richieste.
Medio-alta vocazione allo sviluppo dell’AI. Direttori e dirigenti delle vendite e commercializzazione, dell’approvvigionamento e distribuzione, della manifattura ed estrazione dei minerali, della produzione e distribuzione di energia elettrica, gas, acqua, gestione dei rifiuti e della Ricerca e Sviluppo.
Medio-bassa vocazione allo sviluppo dell’AI. Manager ai quali è richiesta una cultura digitale di base, con la concentrazione del 9,2% delle competenze digitali totali. Il gruppo include direttori e dirigenti che operano nella comunicazione, nella pubblicità, nelle pubbliche relazioni; nel commercio di beni (esclusi autoveicoli e motocicli); nelle attività sportive, ricreative, di intrattenimento; nella gestione delle risorse umane; nel settore dei trasporti e magazzinaggio; nell’agricoltura, allevamento, silvicoltura, caccia, pesca; nei servizi di alloggio e ristorazione; nel commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli; nei servizi editoriali, produzione cinematografica, radiofonica e televisiva.
Bassa vocazione allo sviluppo dell’AI. Direttori e dirigenti della finanza e amministrazione; dei servizi alle imprese e alle persone; delle costruzioni e, sorprendentemente, direttori e dirigenti generali di banche, assicurazioni, agenzie immobiliari e intermediazione finanziaria ai quali non sono richieste competenze digitali strutturate (1,0% delle competenze digitali totali, con un peso marginale su ciascun profilo).
Per i manager è importante anche la formazione in sicurezza informatica
Focalizzando l’analisi sui profili manageriali ad ‘alta’ e ‘medio-alta’ vocazione allo sviluppo dell’AI, si sono esaminate le occupation, ovvero le professioni specifiche che tali profili svolgono nelle diverse attività economiche. L’obiettivo è stato individuare le competenze chiave per ciascun profilo, considerando anche il relativo volume di attivazioni.
Dall’analisi emerge, ovviamente, una concentrazione significativa di competenze digitali nei ruoli legati all’IT, con una progressiva diffusione in altri ambiti manageriali. Inoltre, l’analisi mette in luce l’interconnessione tra competenze digitali e green, suggerendo come l’AI possa favorire lo sviluppo sostenibile e supportare i princìpi dell’Economia circolare.
A questo punto dell’analisi, sono state estrapolate dall’archivio Esco le ‘skill chiave’, set di conoscenze e capacità di base che un manager nel settore privato dovrebbe possedere per gestire i processi di sviluppo dell’AI in azienda. La rappresentazione ottenuta mostra le competenze e conoscenze digitali maggiormente ricorrenti e quantifica le competenze digitali più frequentemente menzionate nei profili manageriali.
L’analisi delle competenze manageriali per l’AI rivela pertanto un panorama complesso e stratificato. Abilità digitali si affiancano alle competenze tradizionali. I ruoli IT sono centrali. Emerge un nucleo di competenze digitali condivise, essenziale per tutti i manager (analisi dati web, gestione di progetti per lo sviluppo di contenuti, marketing digitale ecc.). L’analisi rivela tre cluster principali di profili professionali, caratterizzati da competenze condivise. Questo suggerisce la necessità di un approccio formativo manageriale differenziato, pur mantenendo una base comune di conoscenze.
Dall’analisi dei dati emerge una prima importante riflessione sulla formazione manageriale nell’era dell’AI. L’analisi delle competenze rivela un nucleo di conoscenze e abilità essenziali che dovrebbero costituire la base della preparazione dei manager orientati allo sviluppo dell’AI in azienda. Questo ‘sapere minimo condiviso’ include competenze tecniche come l’analisi dei dati web e la conoscenza dei software industriali, ma anche abilità gestionali come la pianificazione di strategie di marketing digitale e la gestione dei processi di sviluppo dei contenuti. Tuttavia, la riflessione si estende oltre, evidenziando che per un’efficace implementazione dell’AI, inclusa quella generativa, i manager necessitano di una formazione che abbracci non solo lo sviluppo, ma anche la sicurezza informatica. Tale visione olistica della formazione manageriale si rivela essenziale per navigare le complessità dell’integrazione dell’AI, bilanciando innovazione e protezione del patrimonio informativo aziendale.
Il rapporto tra competenze digitali e green è fondamentale
Un’ulteriore analisi è stata dedicata ad approfondire il rapporto tra competenze digitali e competenze green, con l’obiettivo di individuare le aree di competenze e conoscenze in comune essenziali per i piani di sostenibilità. Difatti, competenze AI e green sono due aree interconnesse e sempre più importanti nel panorama lavorativo odierno, entrambe cruciali per affrontare le sfide più urgenti del nostro tempo, come il cambiamento climatico e la trasformazione digitale.
Le competenze AI si riferiscono alle capacità di svilupparne i sistemi, implementandoli e utilizzandoli, mentre le competenze green si riferiscono alle conoscenze e alle capacità necessarie per affrontare le sfide ambientali e promuovere la sostenibilità. L’AI può, quindi, svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere la sostenibilità in diversi settori, tra cui: lo sviluppo di reti elettriche intelligenti, dove è utilizzata per ottimizzare la distribuzione dell’energia e integrare le fonti rinnovabili; la gestione degli edifici intelligenti, in cui contribuisce a ridurre il consumo energetico negli edifici ottimizzando l’illuminazione, il riscaldamento e il raffreddamento; l’agricoltura di precisione, in cui ottimizza l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e pesticidi; la logistica e i trasporti, con l’AI che ottimizza i percorsi di consegna e riduce le emissioni di gas serra; il monitoraggio ambientale, in cui è impiegata per monitorare lo stato dell’ambiente e identificare potenziali problemi.
Considerando, in particolare, lo sviluppo dell’Economia circolare, l’AI può contribuire: a ottimizzare la progettazione del prodotto; alla gestione intelligente dei rifiuti; alla promozione dell’economia dei prodotti come servizio; al monitoraggio e sensibilizzazione; alla creazione di nuove opportunità di business per le aziende che adottano modelli di Economia circolare; a maggiore trasparenza; a decisioni più informate sulla gestione dei materiali e dei rifiuti.
Il tema delle competenze manageriali e quello dell’intelligenza umana (individuale e collettiva) risultano centrali nell’ambito dell’AI, che richiede un rapporto indissolubile tra il ‘sapere’ e il ‘saper fare’.
Molte conoscenze chiave si traducono direttamente in competenze pratiche, evidenziando lo stretto legame tra la teoria e l’approdo pratico di applicazione. È importante sottolineare che, a differenza di altri campi o settori, l’AI impone un livello di competenze e conoscenze significativamente più elevato per tutti gli attori coinvolti. Anche nel caso in cui l’azienda dovesse attingere risorse AI da fornitori esterni (Artificial Intelligence as a Service) è più che evidente che manager e imprenditori devono essere pienamente consapevoli di cosa stanno utilizzando (quale modello di AI), che caratteristiche ha, quali dati usa e come li utilizza per produrre l’output.
Questo campo, pertanto, non ammette approssimazioni o conoscenze superficiali: la natura complessa e in rapida evoluzione dell’AI richiede una comprensione profonda e multidisciplinare, nonché la capacità di applicare queste conoscenze in modo pratico e innovativo. In sostanza, nel contesto dell’AI non è possibile ‘barare’ o affidarsi a competenze approssimative; intelligenza umana e padronanza autentica delle conoscenze e delle competenze diventano un requisito imprescindibile per operare efficacemente in questo settore.
Le imprese italiane vedono diversi ostacoli nello sviluppo dell’AI
Lo studio realizzato dall’Osservatorio 4Manager indica anche gli ostacoli allo sviluppo dell’AI nel nostro Paese. La mancanza di competenze è infatti vissuta come un ostacolo da più di un’impresa su due (55%), a cui si aggiungono i costi troppo elevati (49,6%), indicati da un’impresa su due nel settore delle costruzioni, con valori più elevati nelle piccole imprese e nelle aree geografiche del Centro e del Sud Italia. L’indisponibilità o la qualità dei dati necessari per l’utilizzo delle tecnologie di AI, invece, rappresentano un ostacolo per il 45,5% delle imprese, così come l’incompatibilità con apparecchiature, software o sistemi esistenti, segnalata nel 40% dei casi. Il rischio normativo e la mancanza di chiarezza sulle conseguenze legali sono considerati un ostacolo da quattro imprese su 10, mentre le preoccupazioni relative alla violazione della protezione dei dati e della privacy sono segnalate dal 37% delle imprese. Infine, le considerazioni etiche sono indicate come ostacolo da un’impresa su quattro (26%).
In gran parte delle imprese consultate dallo studio, l’adozione dell’AI va oltre il semplice aggiornamento tecnologico, coinvolgendo l’intera struttura aziendale. La riorganizzazione aziendale è un aspetto cruciale, che include la gestione dei cambiamenti, la trasformazione dei flussi di comunicazione e il superamento delle resistenze interne. Le collaborazioni esterne assumono un ruolo strategico, manifestandosi attraverso progetti di ricerca, attività di formazione e consulenza e partnership mirate. L’approccio ai dati è quindi fondamentale, con focus sulla governance, l’implementazione del Machine learning e l’adozione di AI decentralizzata. Il reperimento di figure specializzate in AI rappresenta una delle sfide più significative, data la scarsità di professionisti qualificati. Le figure manageriali giocano un ruolo centrale, con particolare attenzione al loro ruolo e competenze, alla leadership nell’innovazione e alla formazione continua. La leadership gioca un ruolo cruciale in quanto facilita l’integrazione dell’AI nelle operazioni quotidiane ed è determinante anche per la sua adozione complessiva e per affrontare i cambiamenti organizzativi necessari.
La qualità della formazione risulta un altro fattore chiave per l’adozione dell’AI. La formazione non solo aumenta la competenza tecnica, ma facilita anche l’integrazione del cambiamento, riducendo le resistenze e migliorando l’adattamento al nuovo ambiente lavorativo.
L’intelligenza umana rimane il fattore di successo
Il successo della transizione verso un’AI al servizio dell’umanità richiede un approccio integrato che parta dall’investimento sulle persone. La formazione e lo sviluppo di competenze digitali, green ed etiche deve diventare una priorità strategica. Il supporto all’innovazione deve concretizzarsi attraverso il rafforzamento del trasferimento tecnologico e la semplificazione dell’accesso ai finanziamenti, ma anche alimentando il dibattito sulla trasparenza e la democratizzazione di questa tecnologia. Particolare attenzione va posta alla governance, con la definizione di politiche chiare e procedure etiche che garantiscano il bene comune.
La cooperazione tra pubblico e privato, lo sviluppo di reti di competenza e la promozione di best practice diventano elementi fondamentali per creare un ecosistema favorevole all’innovazione e giusto. Il modello organizzativo tradizionale deve evolversi verso forme più flessibili e adattive, che valorizzino le persone, il loro benessere e integrino competenze tecniche e umanistiche.
La trasformazione digitale guidata dall’AI rappresenta una sfida complessa, ma anche un’opportunità unica, soprattutto per le persone e le nazioni con un ridotto capitale di conoscenza o, peggio, in profonda crisi demografica. Il successo di questa transizione dipenderà dalla capacità di mantenere al centro l’intelligenza umana come fattore distintivo e insostituibile nel processo di crescita e sviluppo.